Quando da piccolo, mi chiedevano cosa volessi fare da grande, rispondevo “come ora”, non volevo fare l’astronauta.
Ricordo i miei quattordici anni e il mio primo studio su una navata di una chiesa in cambio di un quadro, dipinsi un grande quadro con emarginati e prostitute attorno ad un fuoco intitolandolo “Forse sarà l’ultima cena”, non l’hanno mai appeso, "forse" si aspettavano un “Ultima Cena” diciamo più classica, senza il dubbio e il “Dogma”.
Poi gli anni dello studio sopra ad un ristorante aperto fino a notte fonda, in cambio di un quadro al mese, una stanza di quelle affittate ad ore o a gente di teatro in tournée,
dove ho conosciuto giornalisti di nera, attori, avvocati della mala, artisti: Dario Fò, Franca Rame, Ruggeri, Albertazzi, etc…
Giovane, ingenuo ed entusiasta assorbivo come una spugna qualunque sfumatura e dettaglio, ascoltavo, parlavo e discutevo fino all’alba, era il mio mondo, la vita che volevo.
Tutta colpa di mia nonna, la prima pecora nera (si fa per dire, figlia di un Carabiniere a cavallo che ad un certo punto a lasciato tutto e tutti per imbarcarsi come "pirata?" in qualche nave che solcava i mari del Sud, mah... il suo nome era Jolanda, forse non un caso), grande intellettuale e pittrice di talento, a cui rubavo le lenzuola per dipingerci sopra.
Penso, a me giovane, ai pellegrinaggi in Italia e tutta Europa, per conoscere Vedova, Munari, Scanavino, Tinguely, Bacon (naturalmente al pub), etc; agli amici artigiani che mi hanno trasmesso il loro sapere, senza loro non saprei saldare, lavorare le materie lapidee, scolpire il legno, incidere, etc…
quando prendo uno scalpello in mano o un altro utensile, sono con me.
I miei professori, come mi hanno fatto arrabbiare quando mi hanno costretto disimparare a disegnare, reinsegnato usando il cervello e non solo il mio dono, “dai la cera, leva la cera” (maestro Miyagi/cit. da Karate Kid), ho imparato a fermarmi, dominare la mia parte irruente e vulcanica. Probabilmente non abbastanza, o era passato del tempo, la scazzottata con il docente di scultura di cui non mi ricordo nemmeno il nome, è diventata epica, come la mia espulsione dall'Accademia, ma avevo i miei buoni motivi, la rifarei ancora oggi, d'altra parte anche "Ezra ed Ernest"*, facevano lo stesso, no? (Festa Mobile-Hemingway)*
Come si addice da copione, ho saltato pasti per comprare colori, ma poi acquistato intere partite e mangiato nei migliori ristoranti del mondo. Ho fatto autostop, viaggiato su mezzi difficili da raccontare e immaginare, signore con in grembo ingombranti gabbie di galline che invadevano il mio posto quando cercavo di scorgere dal finestrino la “Grande Muraglia”, compresa la bicicletta dell’ultimo imbarcato appoggiata nel corridoio a 10.000 metri di quota. Ma anche avuto Ferrari, viaggiato in first class e su jet privati. Fino a noleggiare un aereo cargo (tutto per me), perchè i miei lavori arrivassero "domani" a un emiro.
Mi sono confrontato con persone di tutte le nazionalità e colori, condiviso cibo e idee, fossero camionisti o sceicchi.
Sono riuscito a lavorare nei posti più impensabili, aerei, grandi metropoli, alberghi, posti di guerra, ex basi militari, deserto, tutto e sempre in nome dei miei sogni e dell’Arte, lavorando per tutti e con tutti, senza nessuna distinzione e pregiudizio: mercanti d’armi, musicisti, politici, attori, calciatori, intellettuali, poeti, architetti, sceicchi, poveri e miliardari, etc… tutti a loro modo mi hanno dato qualcosa.
A volte sono stato accolto in paesi “difficili” con diffidenza e mitra puntati, ma lo sapevo, la “Farnesina” mi aveva avvertito. Altre con grandi fasti, cerimonie e onori.
Nel giro di poche ore sono passato da climi tropicali dalle camice appiccicate sulla pelle, a climi artici, visto metropoli indimenticabili e tramonti talmente belli da risultare quadri di cattivo gusto, incontrato persone speciali di tutte le razze e classi, stretto amicizie. Ci sono state donne che mi hanno sopportato e appoggiato, anche quando non capivano che a volte quando guardavo fuori dalla finestra “stavo già lavorando”, altre che mi hanno complicato e reso interessante la vita (posso dire la mia, con il mio Bus: quelle a cui ho voluto bene, quelle per l'ego, quelle importanti e quel Taxi di donne che ho Amato), un figlio che mi son cresciuto che mi ha dato regole e orari. Mi sono occupato a tutto tondo dell’Arte, pittura, scultura, arti applicate, design, realizzato dalla cosa più umile al grande lavoro (perfino gadget per post guerra del golfo), sempre con lo stesso entusiasmo. In Asia ho appoggiato progetti governativi coinvolgendo nel mio fare bambini che si prostituivano, insegnandogli un lavoro, farli finalmente giocare e studiare, l'importante non tornassero da dove erano stati raccolti, questa per me è Arte. Ho dipinto, scolpito, saldato, inciso, disegnato, progettato, scritto, sofferto e gioito. Non ho mai cercato di fare un lavoro solo piacevole ma volevo che avesse soprattutto qualcosa da dire, cercando sempre di dare risposte inconsuete fuori dal coro. Ho avuto studi piccoli e scomodi, altri grandi come aziende. Spalato fango, lavori, macchinari, documentazione e mia storia, quando il fiume che si è impossessato di un mio studio, ma ero lì. Fatto produzioni quasi industriali con squadre di collaboratori, in quel momento volevo far così la mia Arte, imparando le cose più lontane da un’artista, che ama la Poesia: organizzazione, planning, affari, preventivi, strategie, conti.
Questo mio esistere si ritrova nel mio “lavoro”, tutto ciò fa parte del disegno della vita, poiché siamo tutti un po’ tutto e contemporaneamente il contrario di tutto: balordi, pompieri, egoisti, generosi, geniali, ingenui, noiosi, divertenti, vagabondi, infedeli, rivoluzionari, affidabili, poeti.
Non sono mai riuscito e non ho mai voluto far distinzione tra Arte e Vita, per me è tutt’uno…
“eccetera, perchè la minestra si fredda”*. (Leonardo Da Vinci/cit. dal Codice Arundel)*