La crudezza di quest’immagine, così poco “devota” nel senso classico del termine, afferma invece per contrasto la profonda religiosità dell’artista, che rompe ogni schema iconografico tradizionale per descrivere un Cristo in Cristo “contemporaneo“ offeso, torturato, deriso dal razzismo, dalla violenza sull’infanzia, dall’emarginazione sociale, dalle guerre, dalla sete di potere,. In un “quotiedie morior“ attuale e inquietante. Giovanni Cordero
È opinione condivisa che l’attuale condizione socioculturale sia esprimibile emblematicamente dall’entità del simulacro, l’immagine priva di quel legame con gli enti reali che è requisito imprescindibile di verità per la rappresentazione. L’immagine contemporanea ha sempre qualcosa da nascondere, un’omissione costitutiva sui referenti che vorrebbe ritrarre o, sempre più spesso, vendere dopo averli parcellizzati ed incorniciati. Dopo un rovesciamento di ruoli, persino la realtà diviene copia dei modelli iconici ai quali spera di uniformarsi per rendersi appetibile. Il nostro ambiente massmediatico assume così un’ambigua natura duale nell’unità del simulacro che cattura ed incorpora assieme immagini e realtà; il tempo circola in un eterno presente a tutto schermo. Nell’iconicità pervasiva di siffatta mostruosa economia, che tutto divora purché sia scambiabile sul mercato, il margine e l’interstizio sociale offrono spazi ristretti per l’esercizio attivo di una volontà individuale.
Nella tela di Nëri Ceccarelli, l’autore della particolare forma assunta dagli scarti simulacrali resta misterioso: un anacoreta postmoderno, o un neoprimitivo raccoglitore di immagini dal terreno spontaneo del campo mediatico che intenderebbe trasmettere messaggi primari. Forse, l’agente involontario che ha configurato il Crocifisso è il solo Caso: la facilità della figura, per la quale bastano due linee incrociate, ha fatto si che prendesse forma proprio questo simbolo. Ad ogni modo, il ritrovamento inaspettato
di quest’increspatura della superficie ci rende memori di una condizione esistenziale differente e perduta, di tempi che trascendono il presente verso radici storiche e ontologiche, ma anche verso il futuro nella speranza.
La vera immagine sacra, qui, è tuttavia l’insetto che si posa sullo schermo oppure sulla fronte del bambino denutrito, apparso in qualche montaggio televisivo per commuoverci e, in maniera più subliminale, rassicurarci della distanza incolmabile tra noi e quella sofferenza. Rimando alla decomposizione della carne e creatura medianica fra realtà e rappresentazione, la mosca occupa così il nostro stesso limite. Michele Bramante